giovedì 9 febbraio 2012

IL 18 OTTOBRE CON LA FIOM

Slitta la data, causa neve; confermate piattaforma e alleanze

Slitta di una sola settimana la manifestazione nazionale indetta dalla Fiom. Invece di sabato 11, quello successivo: «visto che si parla tanto di art. 18, ci sta bene».

Maurizio Landini, il segretario nazionale, ci scherza su un attimo, ma la questione sul tappeto è terribilmente seria.

Da un lato c'è il «modello Fiat» che si sta imponendo come format per tutta Confindustria - almeno secondo il progetto di Alberto Bombassei, uno dei candidati alla successione di Emma Marcegaglia - secondo cui non dovrebbe esistere alcuna possibilità per i lavoratori di scegliersi il sindacato d'appartenenza nè, tantomeno, il diritto di decidere (votando) sui contratti o gli accordi che li riguardano. «Qualcosa di anti-costituzionale - aggiunge Landini - e contrario anche alle leggi europee».

Un format che si va estendendo a tute le imprese metalmeccaniche, visto che la categoria imprenditoriale - Federmeccanica - ha appena disdettato le relazioni con la Fiom in quanto «non firmataria di contratto».

Non è finita. L'attuale «dialogo» tra governo e parti sociali sulla «riforma del mercato del lavoro» si concentra quasi soltanto sulla cancellazione delle tutele per i lavoratori «fortunati» che ancora sono contrattualizzati a tempo indeterminato. «La precarietà, in questo paese, non è la conseguenza, ma la causa della crisi occupazionale; e anche dell'«arretratezza delle imprese». È ovvio, infatti, che se un imprenditore riesce a raspare qualche margine di profitto in più, comprimendo il costo del lavoro, sarà disincentivato dall'innovare sia il processo che il prodotto. Perdendo, dunque, «competititvità».

Di fatto, la manifestazione del 18 febbraio acquista maggiore importanza come manifestazione dell'«opposizione sociale» a un «progetto ben delineato» di modificazione «non democratica» delle relazioni industriali. Si è infatti consapevoli che Cisl e Uil hanno già mollato gli ormeggi, dichiarandosi disposte a discutere di una «robusta manutenzione» dell'art. 18, tale da lasciare in vita una tutela solo per i «licenziamenti discriminatori» (ma già le «riassunzioni» alla Fiat di Pomigliano sono ampiamente dentro questa casistica). Ammettendo - incredibilmente - quelli «per motivi economici». Per chi conosce la quotidiana mattanza di posti di lavoro «per crisi aziendale», questa formulazione suona sia come truffa che come insulto all'intelligenza.

La Fiom conferma lo schema vincente del 16 ottobre 2010. Quindi è prevista la partecipazione convinta di grandi parti della Cgil (altre categorie, camere del lavoro, sedi regionali, ecc); anche se dalla segreteria confederale non arriva ancora nessun segnale mobilitante. Soprattutto, la manifestazione resta «aperta» a tutti i movimenti e le soggettività sociali che hanno fin qui riempito le piazze contro la politica di «austerità» imposta prima da Berlusconi e ora, persino più duramente, da Monti.

Sul fronte politico, la Fiom conferma una serie di incontri con i partiti della sinistra, parlamentare e non. Dall'Italia dei valori e Sel (come da Rifondazione e Pdci, che saranno visti oggi) arriva un sostegno convinto. Il pezzo forte sarebbe il Pd - ieri mattina c'è stato l'incontro con Pierluigi Bersani - che promette qualche iniziativa parlamentare. Ma appare evidente a chiunque veda le cose dall'esterno come - sull'art. 18, e in generale sulla questione del lavoro - questo partito rischi in ogni momento l'esplosione. Una ragione di più, non di meno, per fare del 18 ottobre una scadenza «non nascondibile».

sabato 28 gennaio 2012

SCIOPERO GENERALE EUROPEO

Uno sciopero generale europeo per rispondere al generale attacco al welfare state europeo. Potrebbe essere questo il prossimo passo per la Confederazione europea dei sindacati (Ces), o per parte di essa, dopo la giornata di mobilitazione europea indetta per il 29 febbraio alla vigilia del vertice Ue di marzo che avrà al centro il varo del "fiscal compact". Anche di questo si è discusso oggi in Cgil nel corso dell'iniziativa 'La crisi globale e il modello sociale europeo, tra i vincoli di bilancio e il ruolo delle politiche pubbliche' che ha visto visto riuniti esponenti di diversi sindacati europei, tra questi Cgt (Francia), Fgtb (Belgio) e Cc.Oo. (Spagna).

Negli interventi dei diversi sindacalisti è emersa una stessa analisi della crisi, come una stessa comune rivendicazione: “Serve dare urgentemente avvio - è stato detto - ad una transnazionale 'fase due' che abbia al centro crescita e lavoro”. Per questo, “contro le politiche di austerità e contro l'attacco speculativo al modello di stato sociale europeo”, la Ces ha indetto la giornata di lotta europea del 29 febbraio dietro le parole 'Troppo è troppo'. Una data a modo suo storico perché ogni paese parteciperà alla giornata di mobilitazione usando gli strumenti che riterrà più opportuni, compreso lo sciopero. In Italia Cgil, Cisl e Uil si incontreranno lunedì per decidere le forme di lotta da adottare.

Un primo tassello quindi verso l'indizione di uno sciopero generale europeo che, a detta dei diversi dirigenti sindacali intervenuti oggi in Cgil, “appare inevitabile”. E' la posizione infatti di Anne Demelenne, segretario generale del sindacato belga Fgtb, secondo la quale “i politici non ci ascolteranno se non passeremo presto ad uno sciopero generale europeo. Devono capirlo anche loro perché tra l'indignazione e la generale sfiducia è la politica stessa a rischiare una caduta vertiginosa della credibilità”. Per questo, fa sapere Demelenne, “stiamo lavorando per arrivare ad uno sciopero generale europeo, l'idea si sta facendo strada anche se nei paesi del nord Europa non c'è questa tradizione e noi non vogliamo una Ces a due velocità”. Il Belgio stesso è infatti “un laboratorio sociale d'Europa” per le diverse culture che lo compongono. “Ebbene noi abbiamo deciso uno sciopero generale per il 30 gennaio, alla vigilia del vertice Ue, contro il piano di austerità del governo di Elio di Rupo, che produrrà non pochi disagi per gli stessi capi di Stato e di governo dovendo utilizzare gli aeroporti militari perché quelli civili saranno chiusi”.

Un primo passo per arrivare ad una astensione generalizzata dal lavoro in tutta Europa. “Sono diversi anni che parliamo di uno sciopero generale europeo”, ha detto Javier Doz della Comisiones Obreras, confederazione sindacale spagnola. “La necessità è chiara - ha osservato - ma le diverse culture sindacali rappresentate nella Ces costituiscono una oggettiva difficoltà di sintesi. Certo la crisi imporrebbe una scelta del genere ma per ora credo sia più probabile che si scioperi in uno stesso giorno in un numero limitato di paesi, magari quelli del sud Europa”. E la necessità di un'iniziativa coordinata, di un momento in cui contemporaneamente siano tutti i lavoratori europei ad incrociare le braccia, è stata sottolineata anche da Marie-Laurence Bertrant della Cgt, sindacato francese. “Abbiamo bisogno di un deciso passo in avanti nel processo di mobilitazione europeo per rispondere in maniera comune ad un attacco comune al modello sociale europeo”, ha detto la dirigente sindacale francese augurandosi che quanto prima si arrivi “ad arresti della produzione in tutti i posti di lavoro, nello stesso momento in tutti i paesi europei”.

La richiesta di organizzare il primo 'storico' sciopero generale europeo, magari da tenersi dopo il summit Ue che avrà al centro il nuovo trattato intergovernativo sulla disciplina di bilancio, arriva anche dalla Cgil. “Consideriamo importante la data del 29 febbraio, e lunedì con Cisl e Uil decideremo la forma della mobilitazione, ma non la consideriamo risolutiva dello scontro in atto”, ha detto il segretario confederale Nicola Nicolosi, secondo il quale “c'è bisogno di una Ces meno 'emendativa' e più 'rivendicativa'”. Anche Nicolosi ha rilevato un problema di sintesi: “La Ces ha al suo interno una pluralità fatta di 87 organizzazioni sindacali, diverse anche cromaticamente. Basti pensare che la stesso rosso della bandiera non è più il colore di riferimento. Ma se anche l'Economist riscopre il capitalismo di Stato - conclude - la nostra risposta non può che essere: proletari d'Europa unitevi”.

venerdì 23 dicembre 2011

DOCUMENTO POLITICO PRESENTATO AL CPF

Il nostro partito si colloca all’opposizione del governo Monti.
Tale giudizio si conferma, vista la manovra predisposta dall’esecutivo, una stangata che non presenta segni di discontinuità rispetto alle politiche economiche e sociali del governo Berlusconi, nè mantiene i promessi segnali di equità sociale.
E’ vergognoso l’intervento sulle pensioni. Si porta da subito il periodo contributivo a 42 anni e un mese, prevedendo che cresca di un altro mese ogni anno futuro, e si aboliscono le quote cioè la somma tra età ed anni di lavoro. Ci si accanisce ancora una volta con le donne che hanno sopportato per tutta la vita anche la fatica del lavoro domestico e di cura. Si portano tutti al contributivo diminuendo pensioni già basse e si blocca la rivalutazione delle pensioni al costo della vita per pensioni da anni non più agganciate all’aumento delle retribuzioni.Intervenire ancora per fare cassa sulle pensioni dei lavoratori è intollerabile. Così come è inaccettabile l’attacco continuo sui lavoratori pubblici. Tagliare ancora, invece di preoccuparsi di assicurare oggi un reddito sociale e domani una pensione decente per i lavoratori precari e i giovani, altrimenti condannati alla miseria, è scandaloso.
E’ inaccettabile tagliare ancora su Regioni ed Enti Locali. Si tagliano altri 5 miliardi da subito, 6,5 dal 2012. Sono tagli ai servizi sociali, agli asili nido, alla non autosufficienza, alle politiche abitative e del lavoro. E’ messa in discussione sempre di più la sanità pubblica, già colpita da tagli per 13 miliardi al 2014. Inoltre nulla si prevede per scuola e università, anzi si proclama la continuità con la controriforma Gelmini.
E’ iniquo l’intervento sulla casa. La rivalutazione degli estimi catastali, unito alla reintroduzione dell’ICI sulla prima casa colpirà pesantemente le famiglie italiane. Si colpisce nel mucchio senza tutelare i lavoratori e le fasce più deboli. Senza contare che non è prevista alcuna estensione del pagamento dell’ICI sugli immobili ecclesiastici utilizzati a fini di lucro.
E’ inaccettabile che si varino nuove privatizzazioni e liberalizzazioni. Contro 27 milioni di italiani che hanno votato al referendum contro le privatizzazioni dell’acqua e dei servizi pubblici locali, si va avanti su quella strada. Il governo vuole privatizzare i beni comuni e rimuovere ogni residuo intervento pubblico in economia e nei settori strategici.
Così come è inaccettabile l’ulteriore aumento dei carburanti.
E’ inaccettabile che non siano previsti tagli alle spese militari e che non venga bloccato l’assurdo acquisto di cacciabombardieri e che non si ponga fine alle deleterie missioni di guerra all’estero. Così come è inaccettabile che non sia prevista la messa all’asta le frequenze televisive che da sole potrebbero determinare alcuni miliardi di introiti.
Ed ancora inaccettabile quello che succede nello stabilimento fiat di Pomiglianod'Arco dove nei primi 600 assunti non c'è neanche un iscritto alla Fiom. Anzi, si fa capire che per poter essere assunti è meglio cancellarsi dalle organizzazioni sindacali non firmatarie dell'accordo,questo è un vero e proprio attacco alle libertà sindacali.Nell'esprimere il nostro pieno sostegno alla Fiom, che viene colpita perché ha avuto l'ardire di difendere i diritti dei lavoratori, chiediamo al governo di non stare a guardare e di garantire per legge l'agibilità sui posti di lavoro di ogni organizzazione sindacale.
Inaccettabile è ancora quello che è successo martedì 13 dicembre a Firenze dove sono stati assassinati due cittadini senegalesi e altri feriti dalla stessa arma. Arma impugnata da un neonazista nonché assiduo frequentatore e collaboratore di diverse sedi di Casa Pound in Toscana. Questo fatto cruento non può certo essere interpretato come il sintomo della follia di un individuo, si tratta, piuttosto, della punta di un iceberg. L’odio razziale, propagandato per più di un decennio anche dalle destre parlamentari, è una caratteristica centrale del discorso neo-fascista diffuso da organizzazioni come Casa Pound e Forza Nuova. Nonostante la nostra Costituzione vieti espressamente l’apologia di fascismo e di razzismo, queste organizzazioni sono oggi largamente diffuse sul territorio Nazionale. Bisogna chiuderle.
Esprimiamo inoltre vivo allarme e netta contrarietà rispetto ai contenuti del nuovo patto europeo deciso a Bruxelles nei giorni scorsi dove si procede verso un'ulteriore riduzione della democrazia, togliendo ai parlamenti ed attribuendo alle tecnocrazie europee decisioni che riguardano l’avvenire dei popoli del continente.
Care compagne/i quante cose negative,quante ingiustizie, dobbiamo organizzarci, bisogna ripartire da noi stessi con un lavoro incentrato sui territori della nostra Provincia, tessere una rete tra le compagne/i, creare nuovi circoli ove è possibbile, oppure creare nuclei, poichè cosi facendo possiamo allargare anche il nostro comitato politico nel tentativo di aprire conflitti e stare nelle vertenze con più rappresentanza e cosapevolezza di ciò che succede nel nostro territorio.
La nuove direzione provinciale andrà incontro a questa esigenza, un corpo di segreteria più largo possibbile che possa abbracciare tutta o quasi tutta la nostra Provincia in modo da organizzare convegni zonali su temi specifici capaci di elaborare proposte politiche efficaci per quelle donne e quegli uomini che vivono quotidianamente la negazione dei propri diritti.
Riteniamo che il nostro compito, quello di un partito comunista del XXI secolo, che non ha ceduto a pentimenti e non ha rinnegato nulla della straordinaria storia della lotta di classe nel vecchio continente debba favorire l’organizzazione nei territori di spazi pubblici di discussione per favorire un nuovo processo costituente che difende lavoro e beni comuni. Allo stesso tempo pensiamo alla proposta di costruire un patto di consultazione tra tutte le forze politiche che si pongano all’opposizione del governo Monti da sinistra, in parlamento e fuori da esso.
Bisogna rilanciare il partito sociale,l'associazionismo essere umili nel rapporto con i movimenti in modo da poterci radicare nei luoghi dove la sinistra non esiste più e poi magari discutere sul nodo ancora tutto irrisolto della rappresentanza. Se si fanno queste cose forse si gettano le basi per le quali il nostro partito si rifonda per davvero nella sfida aperta per il “comune” e perchè no verso il comunismo.

sabato 29 gennaio 2011

UNITI POSSIAMO FARCELA

Le splendide manifestazioni in tutta Italia hanno visto scendere in piazza i metalmeccanici e con essi lavoratrici e lavoratori di tutte le altre categorie, studenti, centri sociali, cittadini e cittadine che vogliono difendere la democrazia. E’ lo sciopero dei metalmeccanici, ma è anche una giornata di lotta che parla a tutto il mondo del lavoro.
Questo grande movimento di lotta ha un preciso punto di avvio.Quando nel giugno dell’anno scorso a Pomigliano il 40% degli operai disse no al primo dei tanti ricatti messi in piedi da Marchionne, forse non era ancora chiara la portata costituente di quel rifiuto. Eppure così è stato. Da allora le relazioni sociali, i conflitti, le istituzioni e la democrazia, si sono sempre più ridefinite sul modello proposto da Marchionne e sull’opposizione ad esso. Sin dall’inizio era chiaro che quello dell’amministratore delegato della Fiat non era semplicemente un
modello produttivo particolarmente feroce e ingiusto, ma un progetto reazionario per tutta la società italiana. Con la crisi, invece che provare a cambiare qualcosa nel modello liberista che l’ha prodotta, le classi dirigenti, i ricchi, la casta dei manager e la grande borghesia hanno scelto una linea di pura regressione sociale. Gli operai sono ricomparsi sulla scena dell’informazione per subire l’accusa di
essere i veri artefici della crisi. Con il loro contratto nazionale, il loro assenteismo, i loro scioperi e la mancanza di voglia di lavorare.
Di fronte alla forza e all’arroganza di questa offensiva si poteva temere un crollo della nostra democrazia e invece il no della Fiom di Pomigliano è diventato costituente di una sempre più grande opposizione sociale, culturale, morale. La notte in cui si sono scrutinate le schede di Mirafiori mezza Italia è rimasta sveglia, per seguire quel voto con più passione che se fossero state elezioni
politiche generali ed in fondo era così. Ora si tratta di andare avanti. Bisogna chiedere con forza e ottenere dalla Cgil lo sciopero generale. Bisogna ricostruire una politica democratica che porti a un altro modello di sviluppo e che affermi finalmente eguaglianza e giustizia sociale. Per questo chi è stato in piazza venerdì ha bisogno anche di ricostruire gli strumenti e i canali della propria rappresentanza. C’è un palazzo che ha ceduto armi e bagagli alla prepotenza delle multinazionali e del regime dei padroni, ma c’è un’opposizione sociale che cresce e produce impegno e cultura. In pochi mesi si è rimessa in moto l’Italia, adesso bisogna andare avanti.
Pasquale Massimiliano Panico
Rifondazione Comunista-Federazione della Sinistra

giovedì 27 gennaio 2011

NON BASTA RICORDARE

Potrebbe sembrare inopportuno e provocatorio, in occasione della Giornata della Memoria, affermare e sottolineare i limiti del ricordare; ma credo che proprio in questo momento di riflessione che ormai da anni dedichiamo alle vittime della Shoà occorra interrogarsi sul valore politico e pedagogico della memoria; un valore che non possiamo pensare sia implicito o sottinteso. Poco prima di morire tragicamente Primo Levi aveva avanzato la proposta di ripensare all’utilità dei viaggi ad Auschwitz rivolti ai ragazzi e alle ragazze. Proprio in quanto ex-deportato, l’autore torinese vedeva i limiti di questi viaggi proprio nel loro essere spesso una mera operazione ritualistica, che non andava a toccare nel profondo le coscienze e le sensibilità degli adolescenti: una gita scolastica, dunque, con una giornata di visita al campo nella quale, quando andava bene, i ragazzi atteggiavano il loro viso al cordoglio e alla tristezza. E nient’altro, o quasi. Queste operazioni, come tutte le altre occasioni nelle quali ricordare le vittime si limita a un ritualistico e distratto omaggio retorico, non solo sono inutili ma fanno il gioco proprio di coloro che vorrebbero che si dimenticasse.
Non è un caso che negli ultimi anni, non solo in Italia, la Shoà sia entrata nel dibattito pubblico come strumento politico, spesso brandito proprio da quelle forze che fino a non molti anni fa erano al fianco, più o meno ammicanti, delle varie riedizioni del revisionismo. Oggi la memoria della Shoà viene anche usata strumentalmente per stigmatizzare i comportamenti di capi politici, soprattutto del mondo islamico, che di volta in volta sarebbero il “nuovo Hitler”; non si vede però all’orizzonte un discorso sulla Shoà che ne evidenzi il carattere di attualità nel suo aver realizzato un connubio tra tecnologia e potere, nel suo avere lentamente e gradualmente esautorato ogni diritto delle minoranze e ogni discorso a loro favore, nel suo avere sterminato, a fianco degli ebrei e delle ebree, comunisti e democratici, rom e testimoni di Geova, omosessuali e oppositori politici. La Shoà parla di noi: di noi come esseri umani, di noi che alberghiamo nella nostra coscienza il mostro che è pronto a rinascere quando qualche manipolatore politico riesce a legittimarne gli impulsi, di noi che vediamo continuamente disegnarsi attorno a noi la zona grigia dei collaboratori del dominio, degli ottusi funzionari pronti ad obbedire ad ogni ordine, dei cortigiani proni a qualunque desiderio del Principe di turno e ciechi e sordi nei confronti di ogni pensiero critico.
Ma la Shoà parla di noi anche e soprattutto perché le procedure e le strategie dello sterminio non sono state annientate dalla straordinaria forza di resistenza che spazzò via il nazifascismo. Posti a sedere differenziati per lombardi doc sulle metropolitane; maiali portati a urinare sul terreno sul quale deve sorgere una moschea; asili nido vietati ai figli degli immigrati clandestini; medici e dirigenti scolastici ridotti a spie per denunciare il clandestino che si fa curare o frequenta la scuola. Chi non vede in queste proposte, per ora semplicemente buttate lì “per vedere l’effetto che fa”, disegnarsi un piano che ovviamente non porterà allo stesso risultato ottenuto dall’hitlerismo ma certamente va a pescare nella stessa zona torbida di emozioni, rabbie, irrazionalità?
Dunque ricordare non basta; è un dovere civico e morale, nonché politico, ma non può essere la conclusione o la finalità di un percorso educativo, bensì ne deve essere l’inizio. Partiamo dalla memoria per farne uno strumento di cambiamento e di denuncia nei confronti di una dimensione del Male che è ancora tra noi: non solo nelle proposte di movimenti razzisti o di politici antidemocratici ma nelle nostre vite quotidiane, al bar come in stazione, a scuola come in piazza, “stando in casa e andando per via”; un Male che si nutre dell’umiliazione del diverso di turno, del pestaggio dell’omosessuale, dell’insulto al maghrebino, della violenza alla donna, del quartiere sempre meno a misura di bambino e di bambina. C’è una memoria appassita e sfiorita, una memoria che non interroga più nessuno, che non smuove più alcun sentimento; e c’è una poesia della memoria, una sua forza creativa, che riesce addirittura a far nascere nuovi modi di vivere insieme, nuove politiche, nuovi esseri umani. Per questo, di fronte alle memorie dei deportati e delle deportate, non basta aprire la porta alle emozioni, troppo spesso lasciate a se stesse e dunque inutili; dal mondo emotivo la memoria deve passare all’universo della ragione, della critica, della politica. Nella poesia della memoria, allora, il passato sfocia nel futuro, il ricordo abbraccia il progetto, la nostalgia sposa l’utopia: ricordare non basta se non è l’inizio di una azione politica per costruire un diverso futuro; anzi, è addirittura dannoso se è solamente un vuoto rituale, che ci aiuta a chiudere gli occhi sulle violenze di oggi, che rischiano domani di non avere nemmeno l’onore di una giornata di riflessione tutta per loro.

venerdì 21 gennaio 2011

SI SCRIVE ACQUA E SI LEGGE LIBERTA'

Con il via libera della Corte Costituzionale a due dei tre quesiti referendari promossi dal Forum italiano dei movimenti per l’acqua una prima vittoria è già stata conseguita.
Abbiamo sempre detto che “si scrive acqua e si legge democrazia”, ovvero che, su un bene essenziale che a tutti appartiene, devono essere le donne e gli uomini di questo Paese a poter decidere: ora tutto questo diventa possibile e nella prossima primavera il popolo italiano potrà pronunciarsi. Lo hanno già fatto gli oltre 1,4 milioni di donne e uomini che hanno sottoscritto i quesiti referendari, lo potrà ora fare l’intero popolo italiano.
Con il via libera della Corte Costituzionale a due dei tre quesiti referendari promossi dal Forum italiano dei movimenti per l’acqua una prima vittoria è già stata conseguita. La battaglia dell’acqua è un percorso che viene da lontano e che ha sedimentato in anni di lavoro una nuova narrazione sui beni comuni, un percorso fatto di proteste e di proposte.
Alle lobbies di Federutility e di Anfida ( i poteri forti della privatizzazione dell’acqua), a cui piace denigrare il nostro operato, diciamo che una nostra proposta di legge, con oltre 400.000 firme giace da oltre tre anni nei cassetti delle commissioni parlamentari, senza che alcuna delle attuali forze politiche parlamentari si sia posta il problema di leggerla o di discuterla. Ma non potranno nascondersi oltre: da subito, non solo chiediamo, ma esigiamo che sia approvato un decreto di moratoria sugli effetti dell’attuale “Legge Ronchi”: troviamo infatti inaccettabile, nel merito e nel metodo, che su una normativa che tra qualche mese potrebbe essere abrogata, si continui a procedere, accelerando le privatizzazioni in tutti i territori. Chiediamo inoltre, e faremo tutti i passi istituzionali necessari, che si opti da subito per l’accorpamento della data del voto referendario con quella delle prossime elezioni amministrative: una richiesta di buon senso in un paese normale, un obiettivo di lotta in questo paese dalla democrazia smarrita. Per questo riteniamo che il filo comune che lega le mobilitazioni per l’acqua a tutte le lotte territoriali per i beni comuni, alle mobilitazioni studentesche e del mondo della ricerca e della formazione, alle lotte dei precari e dei lavoratori metalmeccanici debba divenire trama di un nuovo tessuto sociale che sulla riappropriazione collettiva dei diritti sociali e dei beni comuni e sulla loro gestione partecipativa indichi un nuovo modello di società. Fuori dalla loro crisi, dentro le nostre speranze di futuro.
Pasquale Massimiliano Panico segretario
Rifondazione comunista-federazione della sinistra

lunedì 10 gennaio 2011

CONTRO IL PARTITO DEL CAPITALE

La settimana che si apre è di quelle cha lasceranno il segno nella storia del paese. In primo luogo per la vicenda Fiat. Come Liberazione ha chiarito in queste settimane, il ricatto mafioso di Marchionne, mettendo al centro il rapporto di produzione, ha una valenza politica generale. La revoca della possibilità da parte dei lavoratori di organizzarsi sindacalmente in fabbrica non è solo un attacco alle conquiste degli anni ’70, ma dello stesso impianto costituzionale del nostro Paese. La riduzione del lavoro a merce costituisce la negazione della repubblica nata dalla resistenza e fondata sul lavoro. L’offensiva della Fiat prelude quindi ad un passaggio di regime, in cui la sanzione simbolica dello stravolgimento della costituzione materiale del Paese, da attuarsi attraverso il plebiscito, costituisce il presupposto dello stravolgimento della Costituzione formale. Si tratta di una vera e propria rivoluzione conservatrice. La Fiat non è nuova a forzature di questo genere.
Dopo la sconfitta dell’occupazione delle fabbriche nel 1920, nell’aprile del 1921 la Fiat aprì una offensiva con l’obiettivo di cancellare i regolamenti che prevedevano i Commissari di reparto (i delegati sindacali) e quindi la presenza del sindacato in fabbrica. Di fronte all’opposizione della Fiom, attuò una serrata al fine di ricattare gli operai. Dopo alcune settimane, oramai ridotta alla fame, la maggioranza degli operai accettò di firmare individualmente il nuovo regolamento di fabbrica che prevedeva l’abolizione dei commissari di reparto. In seguito la Fiat riaprì la fabbrica applicando il nuovo regolamento che era stato sottoscritto sotto ricatto dalla maggioranza degli operai e ne licenziò 1500, in larga parte commissari di reparto e comunisti.
Cosa accadde dopo, con l’avvento del fascismo lo sappiamo. Fu nuovamente l’iniziativa della Fiat a chiudere il decennio di lotte degli anni ’70 e ad aprire la strada alla demolizione del soggetto che di quel decennio aveva rappresentato la spina dorsale: il sindacato dei consigli. Nel 1979 la Fiat licenziò 61 operai con motivazioni formali inconsistenti, ma lasciando trapelare che si trattava di terroristi. La risposta fu debole e l’offensiva passò. I lavoratori che i magistrati reintegrarono non vennero mai fatti rientrare in fabbrica. Dopo questa prima offensiva “di assaggio” partì l’attacco vero e proprio, con la richiesta di 14.000 licenziamenti poi trasformati in cassa integrazione a zero ore per 23 mila persone. Questo sciagurato accordo non solo chiuse la stagione del sindacato dei consigli ma aprì la stagione della restaurazione craxiana. Oggi è di nuovo la Fiat a guidare le danze, a farsi partito e a dirigere la borghesia. L’obiettivo della Fiat è quello di indicare organicamente una strada di destra per affrontare la crisi del capitale. La riduzione del lavoro a pura variabile dipendente è il presupposto per la riduzione della politica a pura ancella dell’impresa dentro la competizione globale. La Fiat vuole realizzare l’utopia capitalistica di deterritorializzare l’azienda, di rendere le condizioni di lavoro indifferenti al territorio ove si lavora per il capitale globalizzato. Fino ad oggi i padroni delocalizzavano l’azienda alla ricerca di condizioni a loro più favorevoli, adesso la Fiat fa il passo successivo, unificando al ribasso le condizioni dei lavoratori italiani. La Fiat vuole abolire il Contratto nazionale di lavoro per applicare il contratto della globalizzazione, quello individuale, quello in cui ogni lavoratore è in concorrenza con l’altro su scala planetaria. La Fiat, in concorso pieno e solidale con Berlusconi, vuole costruire in Italia un vero laboratorio negativo della ristrutturazione europea. Se il primo passo riguarda i rapporti di lavoro, il secondo dovrà riguardare il quadro costituzionale e legislativo in cui i rapporti di lavoro si determinano. Banalmente, la democrazia è la forma con cui in occidente il capitalismo ha gestito la sua fase di crescita e sviluppo, ma non è la forma con cui il capitalismo può gestire l’impoverimento di un Paese. Parlo di impoverimento a ragion veduta. La scelta di demolire i contratti nazionali e di precarizzare integralmente il lavoro è una scelta di bassi salari e di distruzione del welfare, cioè una scelta di impoverimento di larghi strati della popolazione - a partire dai giovani - che punta a costruire una società più gerarchica e diseguale.
Questa rivoluzione conservatrice di cui Marchionne e Berlusconi si fanno portatori non sarà indolore e non ha un esito scontato. Il problema principale che sconta, è la rottura dell’orizzonte di progresso, che rappresenta il vero senso comune di massa del Paese. Non è semplicissimo convincere milioni di genitori che i loro figli dovranno stare peggio di come sono stati loro. Non è semplicissimo convincere quei ragazzi e quelle ragazze che gli hanno rubato la vita, che sono finiti in guerra senza saperlo, che ne devono pagare le conseguenze mentre i ricchi guardano dall’alto. Non è semplicissimo convincere intere generazioni che “gli è andata male”, che sono vittime della sfortuna e pazienza.
L’attacco è quindi forte, ma non privo di contraddizioni e punti deboli. Decisivo per noi agire con tempestività e chiarezza sapendo che i prossimi giorni saranno decisivi per il prosieguo della battaglia. Tre sono le priorità su cui agire. In primo luogo occorre operare in Fiat affinché il plebiscito vada di traverso a Marchionne. In secondo luogo occorre costruire una consapevolezza di massa tra i giovani e i lavoratori di cosa sta accadendo in Fiat, delle sue implicazioni per tutti e della necessità di una risposta unitaria, dello sciopero generale. In terzo luogo occorre costruire una campagna di massa contro il federalismo – che andrà in votazione nelle prossime settimane – e che rappresenta a livello territoriale l’applicazione della linea di Marchionne sull’impresa.
Il rilancio del Partito della Rifondazione Comunista e della Federazione della Sinistra, il rilancio della nostra proposta unitaria a cui le altre forze della sinistra continuano a fare orecchie da mercante, non può avvenire che nel vivo dello scontro che si è aperto.

lunedì 18 ottobre 2010

SIAMO TUTTI METALMECCANICI

L'impressione è davvero profonda. Non si vedeva da tempo una partecipazione così grande e, in essa, una così forte consapevolezza, che emanava da ogni spezzone dell'interminabile serpentone che si è snodato per le vie di Roma senza riuscire, in buona parte, a penetrare in una piazza San Giovanni gremita sino all'inverosimile. E'stata una straordinaria giornata di lotta, pacifica e serena: persino irridente l'allarmismo strumentale del ministro degli Interni, campione di pelosa disinformazia, che alla vigilia aveva annunciato possibili infiltrazioni di guastatori. Non è accaduto, con buona pace di quanti si auguravano di poter macchiare quella che si è rivelata una limpida prova di democrazia. Oggi - ha ragione Maurizio Landini - la percezione è che qualcosa è già cambiato. Qualcosa di difficilmente esorcizzabile nell'atmosfera rarefatta del gioco politico che si consuma stancamente nelle manovre di palazzo.
L'immediata comprensione, è che la Fiom rappresenta il punto più alto e organizzato di coagulo dell'opposizione sociale. Non per caso attorno ad essa si è aggregata una moltitudine di soggetti collettivi, di movimenti, diversi fra loro e tutti fortemente connotati per i temi che ne costituiscono tratto identitario e scopo perseguito. La rivendicazione di condizioni di vita, di lavoro, di studio dignitose, di irrinunciabili diritti di cittadinanza si è saldata ad un bisogno di democrazia che non si rassegna all'oscena, caricaturale rappresentazione che di essa offre la politica-politicante.In questo concerto articolato di soggettività ritrova (il prefisso "ri" non è casuale) il proprio centro di annodamento nel lavoro, proponendo un racconto lungamente revocato e ancora oscurato dalle forze politiche "riformiste", che credono di potere combattere il governo liberticida e ripristinare la democrazia senza rovesciare rapporti sociali fondati sullo sfruttamento e sull'unilateralità del comando d'impresa; che pensano, in altri termini, si possa sconfiggere Berlusconi e contemporaneamente ammiccare a Marchionne.
Può dunque solo far bene, innanzitutto alla sinistra, rimettere un po' d'ordine nella confusione che regna sovrana e riappropriarsi di alcuni fondamentali strumenti di interpretazione della realtà.
A maggior ragione di fronte alla recidivante refrattarietà del Pd ad ogni lettura che si smarchi dall'ideologia interclassista e dal mercatismo, neppure troppo temperato, che sono la cultura di riferimento di quel partito. A nome del quale, il suo responsabile economico, Stefano Fassina, è riuscito a spiegare la mancata adesione dei Democratici alla manifestazione di ieri con il fatto che ad un partito non competerebbe accodarsi a mobilitazioni promosse da altri, quanto piuttosto dedicarsi ad una sintesi superiore, "nel nome dell'interesse generale". Dunque, un partito che "non prende partito", che "non guarda al tutto dal punto di vista di una parte", che osserva dall'alto ciò che accade e poi si colloca (o, piuttosto, crede di collocarsi) sull'asse medio della curva. Una volta, l'abbiamo già detto in altre circostanze, ma non ci stanchiamo di ripeterlo, era opinione condivisa, almeno a sinistra, che l'interesse dei lavoratori, dei produttori della ricchezza sociale, corrispondesse all'interesse del Paese. Oggi, questa nozione di senso comune è stata travolta e rovesciata nel suo contrario: il dominus è l'impresa, e non ci sono diritti, libertà, ragioni sociali che non possano (debbano) essere sacrificati al dogma della competitività. Ieri, nell'inserto speciale dedicato da Liberazione ai trent'anni che separano la capitolazione del sindacato alla Fiat, nell'ottobre del 1980, dalla situazione odierna, Francesco Garibaldo ha ripercorso, passo dopo passo, il processo regressivo che ha indebolito il potere di coalizione dei lavoratori, immiserito le loro condizioni e - contemporaneamente - sfibrato la democrazia costituzionale.
Oggi, mentre Bonanni prova a togliere ai lavoratori la rappresentanza sociale e il Pd nega loro quella politica, occorre lavorare al difficile ma irrinunciabile obiettivo di ricostruire l'una e l'altra. La Fiom sta ampiamente dimostrando di essere all'altezza del compito e che c'è un pezzo di sindacato vitale e carico di futuro. La sinistra alla sinistra del Pd deve ancora guadagnarsi la stessa credibilità. Ma la strada è segnata e va percorsa, senza tentennamenti, sino in fondo.

giovedì 23 settembre 2010

UNIFICHIAMO LE LOTTE

E’ centrale unificare le lotte. Tanto più quando si tratta di battaglie che si intrecciano perché parlano la stessa lingua fatta di parole come democrazia, diritti e lotta al neoliberismo. Per questi motivi è importantissima la lettera che il segretario della Fiom, Maurizio Landini, ha inviato il 14 settembre alla segreteria della campagna referendaria per l’Acqua pubblica per invitare il mondo dell’acqua a partecipare da protagonista alla manifestazione dei metalmeccanici del 16 ottobre. Come Landini, anche il Prc, pensa che l’attacco al mondo del lavoro, la politica di tagli perpetrata dal governo ai danni dei lavoratori, le misure antipopolari portate avanti con feroce determinazioni dall’esecutivo Berlusconi e la privatizzazione dell’acqua che favorisce le speculazioni e le multinazionali siano temi tra loro strettamente connessi, due aspetti della stessa politica fatta di profitti per pochi (i più ricchi, i più potenti) e di sacrifici per molti. Una politica frutto di una stessa misera visione della società che mette al centro di tutto il culto del profitto e la primazia, senza se e senza ma, dell’impresa.
Il sistema neoliberalista in crisi vuol far pagare tutto alle lavoratrici, ai lavoratori e alle fasce più deboli della popolazione. I governi europei, con la scusa del debito pubblico, addebitato alla spesa pubblica, in particolare quella sociale, pensano a dare colpi di accetta alle retribuzioni, ai servizi, all’istruzione, alla cultura, alla sanità, a privatizzare a tutto spiano e a relegare in un angolo i lavoratori, visti solo come strumenti da spremere in funzione del profitto, attrezzi da usare e poi gettare in un angolo e privati di ogni diritto. La causa di questo sconquasso nei conti è un’altra e risiede nell’enorme ammontare di risorse utilizzata per il salvataggio del sistema finanziario, che torna anche in Italia a distribuire lauti dividendi e retribuzioni stratosferiche ai propri dirigenti; nella corsa alle privatizzazioni e alla centralità del mercato; nella crescente spesa militare e per le missioni all’estero. Il governo, la Fiat e Confindustria, ne approfittano per regolare i conti con il mondo del lavoro. Riteniamo che la risposta, che sia la Fiom che il movimento per l’acqua stanno dando a questi attacchi, ciascuno nei propri ambiti, sia una risposta forte per un’uscita a sinistra dalla crisi e dal neoliberismo. Fermare la privatizzazione dell’acqua, aprire la strada della ripubblicizzazione, eliminare i profitti sul bene comune acqua: i tre quesiti vanno nella direzione di un’uscita dal neoliberismo. Tutto questo significa lottare per una maggiore democrazia e anche per i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, come fa ogni giorno la Fiom. Significa lottare per un modello diverso di società. Si tratta ora di riallacciare questi nessi e far sì che queste lotte camminino di pari passo. L’invito del segretario della Fiom, rivolto ai movimenti per l’acqua, di far diventare la manifestazione del 16 ottobre anche come uno spazio per l’espressione della lotta contro la privatizzazione dell’acqua e dei beni comuni e per una loro diversa gestione pubblica e partecipativa, va in questa direzione. Gli obiettivi della manifestazione fatta per impedire che la crisi possa essere utilizzata per cancellare i diritti, la democrazia e la dignità del lavoro sono gli stessi del movimento per l’acqua e di chi si oppone alla privatizzazione dei beni comuni. Perché anche il lavoro, come l’acqua, è un bene comune.

venerdì 17 settembre 2010

comunicato stampa precari scuola

Il 15 settembre è andato in scena l'inizio del nuovo anno scolastico che conferma
drammaticamente la gravissima situazione in cui versa la scuola della
Repubblica, colpita da tagli e controriforme che priveranno milioni di giovani
del diritto ad una istruzione qualificata. Decine di migliaia di docenti e di
personale ATA, inoltre, sono espulsi dalla scuola... dopo anni di precariato.
Siamo di fronte ad un’emergenza sociale senza precedenti, per le dimensioni
dell’attacco all’occupazione in questo settore e per le conseguenze sul futuro
delle giovani generazioni. Perfino le analisi internazionali ormai dimostrano
il grave arretramento cui è sottoposto il sistema scolastico italiano.
Tutto questo richiede una mobilitazione attiva dell’intera società civile,
insieme con le realtà scolastiche in lotta per la difesa della scuola della
Costituzione. Le iniziative che in questi giorni si stanno diffondendo in tutto
il territorio nazionale costituiscono occasioni di aggregazione ed espressione
del conflitto che possono coinvolgere anche altri settori della conoscenza,
come si è già verificato nello scorso autunno. Può nascere un grande movimento
di massa capace di sconfiggere il governo e imporre il ritiro di tagli e delle
controriforme.
Sostegno alle lotte in corso, organizzazione di manifestazioni e di
controinformazione, partecipazione alle mobilitazioni e a tutto ciò che sarà
individuato come utile a fronteggiare l’emergenza “diritto allo studio”,
rappresentano l’impegno della Federazione della Sinistra per difendere l’
accesso al bene comune della conoscenza.
La federazione della sinistra provinciale di Caserta